IRENA SENDLER, LA TERZA MADRE DEL GHETTO DI VARSAVIA (di Roberto Giordano)
Cinque anni dopo, nel gennaio del 2013, in occasione della Giornata della Memoria, sulla rete nazionale, e precisamente nella trasmissione Voyager, fu mandata in onda un’intervista a Elżbieta Ficowska, la bambina più piccola salvata da Irena Sendler dal ghetto di Varsavia, che mi scosse letteralmente. La semplicità con cui “Bieta” raccontava dell’operato della Sendler, delle sue “staffette”, del suo salvataggio, mi travolse così impetuosamente da prendere la decisione di portare in scena la sua vita. Cominciai a mettere da parte notizie, annotare date, prendere appunti. Mi resi conto che in Italia la storia di Irena Sendler era sconosciuta, lei una donna invisibile: nessuna rappresentazione teatrale, un paio di convegni sporadici, un solo libro (introvabile!).
Nell’estate del 2015 decisi di allestire lo spettacolo a qualsiasi prezzo, anche indebitandomi. Irena Sendler era troppo presente in me, era diventato un macigno, dovevo “liberarmi…”, sentivo che chiedeva giustizia affinchè la sua storia venisse diffusa e portata a conoscenza di tutti: è un nostro dovere tenere in vita la “memoria”, è un nostro dovere “ricordare” – mi dicevo.
Dopo aver rifiutato una scrittura importante presso un teatro prestigioso di Napoli, ho finalmente debuttato nel suggestivo sito del Succorpo dell’Annunziata, grazie all’Assessore alla Cultura di Napoli Nino Daniele e alla prof.ssa Suzana Glavaš, che ha voluto fortemente la pubblicazione del testo teatrale, peraltro patrocinato da Amnesty International, dal Consolato Onorario della Repubblica di Polonia in Napoli, dal Comune di Napoli, e dall’Ambasciata Polacca in Roma.
Irena Sendler è stata un’infermiera e assistente sociale polacca, cattolica, che durante la seconda guerra mondiale riuscì ad organizzare una rete di soccorso, portando in salvo più di 2500 bambini – destinati allo sterminio solo per essere nati ebrei – dal ghetto di Varsavia.
Tante volte mi sono chiesto quale fosse la ragione che indusse una donna di soli 30 anni a compiere un’azione di tale entità… e la risposta è semplice: il suo senso di rettitudine, di accoglienza e di umanità. In un’epoca in cui siamo bombardati da notizie che fanno inorridire e hanno dell’inaccettabile, come le fughe dalla Siria, le traversate dei barconi per i mari o per il deserto, e via via ad attraversare terre e confini dei Paesi un po’ o niente affatto accoglienti, mi domando perché l’insegnamento dei nostri avi e dei nostri predecessori non è servito a nulla? Perché non ci facciamo carico tutti, nessuno escluso, del Principio Sommo: “Ama il Tuo Prossimo come Te Stesso?” Dovremmo tutti noi, credenti e non, partire da questo Comandamento per realizzare una civiltà migliore, più altruista e più civile, altrimenti in che mondo faremo crescere e vivere i nostri figli? Che mondo lasceremo ai nostri discendenti? Alla cacciata dall’Eden fu comandato all’uomo e alla donna: “Andate e prolificatevi!” non fu comandato: “Andate e uccidetevi!”
La storia di Irena Sendler è rimasta sepolta per 60 anni. Pur essendo stata partigiana, la Sendler non condivise mai la politica del Partito Comunista polacco. Nel 1965 venne riconosciuta dallo Yad Vashem di Gerusalemme come una dei Giusti tra le Nazioni. Solo in quell’occasione il governo comunista le diede il permesso di uscire dal Paese per ricevere il riconoscimento in Israele. Grazie alle ricerche degli studenti di una scuola superiore del Kansas, nel 1999 la sua storia fu riscoperta. Furono proprio loro a lanciare un progetto per fare conoscere la vita e l’operato di Irena Sendler a livello internazionale. Nel 2003 papa Giovanni Paolo II le inviò una lettera personale elogiandola per i suoi sforzi nella resistenza polacca. Il 10 ottobre 2003 le fu conferita la più altra decorazione civile della Polonia: l’Ordine dell’Aquila Bianca e il Premio Jan Karski “Per il Coraggio e il Cuore”. Fino all’ultimo suo respiro non ha fatto altro che ripetere: “Ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra, e non un titolo di gloria” ed anche: “Avrei potuto fare di più. Questo rimpianto non mi lascia mai.”
La vita di Irena Sendler, insieme a quella dei suoi collaboratori (“…senza di loro, non avrei potuto fare nulla.”) è una grande testimonianza di coraggio, di amore e di rispetto per tutti, senza distinzioni di razza, religione e fede. Racconta infatti che per un bambino da salvare, occorreva la collaborazione di circa dieci persone, proprio così… dieci persone mettevano a rischio la propria vita, per salvare un bambino. Predicava, con parole semplici: “Dobbiamo lottare per ciò che è buono. Il buono deve prevalere, deve prevalere e io ci credo. Finchè vivrò, finchè avrò forza, professerò che la cosa più importante è la bontà”.
Facciamoci tutti carico di tale Insegnamento ed Esempio di Umanità, che più che nelle Preghiere, in lingue diverse o con diversi usi e costumi, sta nel linguaggio universale delle nostre Buone Azioni.
Roberto Giordano, attore e regista
20 marzo 2018